La storia del lupo in Italia ha avuto un risvolto incredibile.
Quando negli anni 70 del secolo scorso partì l’operazione S. Francesco per il recupero della specie, la popolazione di lupo italiana era davvero sull’orlo dell’estinzione.
Per vent’anni, regalando ogni tanto sorprese inaspettate… i primi lupi in Garfagnana, in Liguria, nel Cuneese e da lì in Francia nel Mercantour…. poi un susseguirsi di riconquiste del territorio fino all’espansione nelle Alpi, e al di là delle Alpi, con ampliamenti consistenti di anno in anno. La storia del ritorno del lupo non è stata accompagnata da una gestione adeguata della popolazione.
Primo fra tutti a minare la sopravvivenza del lupo è il problema dei cani vaganti e dell’ibridazione antropogenica del lupo con il cane, che mette a rischio lo stesso patrimonio genetico della specie, facendo temere ora non più l’estinzione fisica del lupo in Italia, ma la sua estinzione genetica, se l’introgressione di genoma canino, generazione dopo generazione, dovesse sostituire totalmente quello del lupo. Il fenomeno dell’ibridazione è ancora poco intensamente studiato e soprattutto il tasso di ibridazione non è sufficientemente conosciuto.
Inoltre, come evidenziato da uno studio dell’Università della Sapienza di Roma che ha coinvolto decine di studiosi, benché tutti concordino che l’ibridazione antropogenica sia una minaccia per la specie, non c’è ancora l’accordo, fra gli stessi esperti, su come essa vada gestita, ad esempio se gli ibridi debbano essere rimossi definitivamente dalla popolazione selvatica oppure sterilizzati e poi rilasciati. La definizione stessa di una soglia limite oltre la quale si può definire “ibrido” un individuo è ancora oggetto di discussione.
Per evitare una seconda e inesorabile estinzione risulta ora urgente definire una strategia di gestione efficace.