
Gli esperti stimano una mortalità diretta per cause antropiche compresa fra il 15% e il 20% della popolazione ogni anno. Tal valore sembra attendibile e in linea con quanto ritrovato per altri popolazioni europee anche se per ora non si dispone di dati certi sulla dimensione effettiva del fenomeno. Fra le cause di mortalità diretta il bracconaggio colpisce con armi da fuoco sia i lupi casualmente incontrati durante le battute di caccia al cinghiale sia con uccisioni mirate.
Fra le trappole, tutte vietate, sono ora molto utilizzati i "lacci", costruiti da cavi d’acciaio posizionati a cappio sui passaggi obbligati.Essi sono disposti a protezione del bestiame contro lupi e cani, ma spesso anche ai margini delle colture in difesa dei cinghiali o per la loro cattura per il commercio illegale delle loro carne; ma essendo mezzi di cattura non selettivi catturano indiscriminatamente anche altre specie, come il lupo, provocando tra l'altro molte sofferenze.
Molti lupi muoiono anche per l'utilizzo di esche avvelenate, che sebbene vietate da quasi cinquant'anni in Italia, sono utilizzate ancora oggi, con una certa recrudescenza attuale del fenomeno.
Esse sono utilizzate sia dagli allevatori contro cani e lupi, sia per la spartizione del territorio da parte dei cercatori di tartufi.
Il Ministero della Salute ha emanato numerose ordinanze per contrastare l’utilizzo di sostanze velenose mentre numerosi progetti europei hanno finanziato la costituzione di Nuclei Cinofili Antiveleno per il controllo del territorio.
Infine gli incidenti stradali sono fra le cause più comuni di morte per i lupi, in particolar modo per i giovani in dispersione. Anche la diffusione di malattie da parte di cani domestici, che costituiscono dei grossi serbatoi di particolari patogeni o la competizione con cani vaganti, contribuiscono a limitare la popolazione selvatica del lupo.
Benché sia protetto dal 1973 molto pochi sono ancora i casi di condanna per l’uccisione di lupi, essendo molto difficile risalire all’autore del reato. Molti progressi in questo senso ci sono stati utilizzando tecniche avanzate di medicina forense veterinaria.
Murales dello Street Artist Nicola D'Amico
STORIA
I Lupari
Una figura storica delle comunità appenniniche di una volta è il luparo, un cacciatore specializzato nella cattura e uccisione di lupi, un mestiere molto apprezzato nelle società contadine di una volta dove gli armenti costituivano un bene prezioso.
Fino a pochi decenni fa il lupo, insieme ad altre specie come le volpi o gli uccelli rapaci, era considerato un animale nocivo e le autorità emanavano apposite ordinanze o editti nelle quali si stabilivano modalità e premi per la loro cattura. Esisteva tutto un prezziario codificato per ogni tipologia di animale abbattuta ad esempio l’uccisione di una lupa con i piccoli poteva far guadagnare un premio maggiore. Per assicurarsi che non ci fossero frodi i lupari erano costretti a consegnare parte dell’animale, come la coda o la testa degli animali abbattuti.
Ma la vera ricompensa del luparo era assicurata dalla gratitudine degli abitanti dei paesi dove il luparo esponeva le carcasse degli animali uccisi ricevendo in cambio cibo, denaro o altro.
L’importanza del lupo negli ecosistemi naturali venne riconosciuta nella seconda metà del ventesimo secolo e fino ad allora anche nelle poche aree protette esistenti, come nel Parco Nazionale d’Abruzzo, il lupo veniva ucciso da funzionari dello stato, come i guardiaparco.
Sulla figura tradizionale del luparo sono stati stilati molti racconti e romanzi e un famoso film del 1957 “Uomini e lupi” ambientato in Abruzzo ne descrive le vicissitudini.

