
La vita del lupo si svolge nel branco, che altro non è se non la sua famiglia. Un branco infatti è formato, seppur con eccezioni, dal maschio e dalla femmina dominanti, e dai loro cuccioli nati nell’anno in corso e da quelli nati negli anni precedenti ma che non hanno ancora lasciato il branco di origine. I branchi di lupi appenninici solitamente non superano i 6-7 individui, ma la dimensione del branco è molto variabile nel tempo, non solo da un anno all’altro ma anche in periodi diversi dello stesso anno. Non sempre infatti i membri del gruppo si spostano tutti insieme e la coppia durante il periodo della riproduzione può tendere ad isolarsi.
All’interno del gruppo vige una sorta di gerarchia basata sull'età utile a regolare i rapporti sociali fra i membri del branco, dove l’individuo dominante oltre ad essere l’individuo più prestante è anche quello con maggiore esperienza. In realtà gli individui dominanti non sono altro che i genitori degli altri componenti a cui viene affidata la leadership del branco.
Le decisioni nella vita quotidiana relative alla caccia, alla difesa del territorio e più in generale su cosa e come fare, vengono prese dalla coppia e ogni altro membro apprende da loro i comportamenti e le strategie che gli saranno utili nella sua vita futura. In questo contesto la comunicazione assume un ruolo fondamentale, attraverso la mimica di tutto il corpo i lupi dichiarano il loro ruolo e soprattutto esprimono le loro intenzioni nei riguardi degli altri: molto sviluppati infatti sono quei comportamenti che invitano alla riconciliazione.
Solo la coppia dominante è in genere quella che si riproduce nel branco e questo fattore contribuisce alla regolazione naturale della popolazione di lupi.
Fino al 1800 il lupo era presente in tutti i Paesi continentali europei. Nel corso del XX secolo, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la specie divenne vittima di uno sterminio che coinvolse tutta l’Europa centrale e settentrionale, dovuto all’inasprimento dell'atteggiamento dell’uomo nei suoi confronti, in quanto considerata come minaccia per le sue attività, sterminio reso probabilmente più efficace dalla diffusione di armi da fuoco più efficienti e dalla facilità di reperimento dei veleni. Solo piccolissime popolazioni sopravvissero in Italia, Spagna e Grecia.
Fino agli anni ’60 in Italia il lupo era considerato dalla legge un animale nocivo, pertanto ne era consentito l’abbattimento con ogni mezzo. Anche all’interno degli storici Parchi Nazionali d’Abruzzo e del Gran Paradiso il personale, come Eufranio Chiaretti del PNALM nel 1965 qui in foto, effettuava la caccia sistematica al lupo per proteggere i pregiati ungulati simbolo della montagna: il camoscio appenninico di cui rimaneva un’unica popolazione in Abruzzo e lo stambecco, altrimenti estinto in tutto l’arco alpino.
A causa delle continue persecuzioni, della mancanza di prede selvatiche ma anche della riduzione degli habitat favorevoli dovuta all’antropizzazione del territorio, solo un centinaio di individui sopravvisse sulle zone appenniniche più isolate, mentre nelle regioni alpine e in Sicilia la specie venne completamente eliminata tra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso.

